Avane in Valdiserchio e il “castello vecchio” o "della contessa Matilde"

Figura storica affascinante per le vicende che la videro protagonista nella guerra delle “investiture” fra impero e papato, a favore di quest’ultimo, e potente feudataria, la contessa Matilde di Canossa (1046-1115), dominò su gran parte dell’Italia centro settentrionale.
Molti furono i castelli da lei fondati o che le appartennero e abitò e che, tanta è rimasta l’ammirazione, sono almeno in parte oggi meta di itinerari turistici organizzati, come ad esempio Bianello, Canossa, Rossena e Carpineti, tutti in provincia di Reggio Emilia. Fermando però lo sguardo alla Toscana e unicamente alle Colline pisane e consultando anche la sola Wikipedia, si trovano ricordati altrettanti piccoli castelli e centri da lei beneficiati San Marco in Sovigliana, Bagni ad Acqua (Casciana Terme), Montanino, Parlascio.
Ugualmente il Repetti e il suo Dizionario riportano come appartenenti a lei o alla famiglia castelli e vaste tenute nel pisano a Cappaiano (donato dalla madre Beatrice ai Canonici), a Malaventre e a Migliarino (la selva Regia o Paratina) ...
È stata inoltre messa in evidenza dagli storici l’attenzione della contessa per la città di Pisa, dove morì e fu sepolta Beatrice (1076), pur con la con riprovazione del benedettino Donizone che riteneva la città sordida e indegna di conservare le spoglie di tanti personaggi nobili che di norma: “Talibus in vicis contempserunt sepeliri” (Disdegnavano di essere sepolti in luoghi simili).
E non solo. Nel 1103, dimorando in Nonatola, Matilde concesse per privilegio all’Opera del duomo un pezzo di terra fuori della città presso la chiesa di San Nicola e i castelli e le corti di Livorno e di Pappiana.
Si potrebbe continuare a lungo a ricordare Matilde e Pisa seguendo altri numerosi e noti studi compiuti nel tempo, ma sarebbe solo un ripetere vicende conosciute e acclarate ... Al contrario, dopo lo spoglio di tanti manoscritti, posso presentare qui ex novo il contributo di un documento riguardante un castello di Matilde nella Valdiserchio pisana, del tutto ignoto – almeno per quanto ho potuto controllare.
Si trova infatti, in un registro di Sant’Antonio di Pisa degli ultimi anni del quattrocento, una parte, non piccola, dedicata ai beni del convento nel comune di Avane, cioè nella zona dove il corso del Serchio fa una curva a U aggirando la piana e le alture prospicienti. All’inizio dell’elenco, a sottolinearne l’importanza, è collocato un ricordo sorprendente considerando anche l’epoca in cui è stato scritto:

“Pezo uno di terra campia con casa solaiata et chiostro murato intorno, con tre sovite, orto, fructi et arbori doppo detta casa in comune d‘Avane di Valdiserchio in luogo dicto Castel Vechio d’Avane ove si dice lo castello della Contessa Mattelda et tiene capo in via pubrica, capo et lato parte a Thomeo di Baiardo et parte Sancto Salvadore d’Avane, lato a Franchuccio Bocticella, chiassatello mediante, staiora ventocto st. 28”.

Segue la citazione di altri dieci pezzi di terra quasi tutti limitati dal Serchio e da indistinte vie pubbliche, e definiti da toponimi quali Capo d’Avane, Monte, Dopo la Pieve (con a lato il cimitero), Lame, Piagge, Prataglia “di contro a Sprunghola” (quest’ultimo con un lato confinante con una “doghaia”, cioè un canale).
In fondo è riportata la motivazione giuridica della proprietà:

“E soprascripti undici pezzi di terra donò al convento di Sancto Antonio degli Hermini [monaci Armeni] oggi dei Servi [di Maria] monna Brida [diminutivo di Brigida?] di Vanni d‘Avane cittadina pisana della cappella di Sancto Casciano, carta per ser Iacopino di ser Iohanni di ser Buonincontro 1360 indictione 13 decimo settimo kalendas februarii [16 gennaio] ...” .

In altre partite è scritto che nel 1316 e nel 1320 Castel Vecchio aveva “difitio [edificio] di mura” e che era confinato con dei possessi di privati, con le solite vie pubbliche e con i beni della chiesa di San Salvadore del luogo e dell’Opera di Santa Maria Maggiore di Pisa.

Proseguendo nella lettura dell’elenco, si trovano altri pezzi di terra ottenuti dagli Armeni per donazione di devoti fedeli, cioè di donne commesse del monastero. Sono anch’essi ‘battezzati’ con diversi nomi: Cafaggio presso il Serchio (da segnalare per l’origine longobarda del nome), La Borra, La Quarrella, Bovario (che ci dice il genere di allevamento praticato nella zona), Prata, Pratignone, Catallo, Santo Stefano. Tra i confinanti invece sono da ricordare prete Vitale da Vecchiano che compare più volte, i Canonici, la citata Opera del Duomo, mentre nel novero delle donatrici ai monaci sono scritte, oltre a Brida (1360), Davia d’Ugolino, detto Nino d’Avane (1318) e Teccia di Gentile da Santa Croce (1355).

Un ultimo ricordo riguarda un ponte vecchio sul Serchio, difficile da localizzare con precisione nella zona e intuitivamente precedente a un ponte ‘nuovo’ – misterioso perché purtroppo non citato.
Questo è il testo:

“Pezo uno di terra in decto comune et luogo decto Bovario, cioè la metà, capo al ponte vechio, capo in Bovario, lato a’ confini di Malaventre, lato a Parduccio da Parlascio, et è decta metà staiora venti st. 20”.

Paola Ircani Menichini, 14 marzo 2024. Tutti i diritti riservati.




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